TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI BOLOGNA Il giorno 10 ottobre 2019 in Bologna si e' riunito in Camera di consiglio nelle persone dei componenti: dott. Mirandola Manuela, Presidente; dott. Farinella PierVittorio, Giudice relatore; dott. Laghi Ilaria, esperto; dott. Rori Giorgia, esperto. Con la partecipazione della dott.ssa Pantani Maria Rita, sost. procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna, per deliberare sulla domanda di: Revoca Liberazione Anticipata (art. 54, comma 3), presentata nei confronti di F.M., nato a ... il ..., gia' detenuto presso la Casa Circondariale di ..., espiazione della pena di cui alla sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Bologna il 19 novembre 2013 (irr. 23 febbraio 2015); pena cessata il 29 luglio 2019. Ordinanza Il Tribunale di Sorveglianza ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 54, comma 3, legge n. 354/1975, nella parte in cui non prevede che possa disporsi la revoca del beneficio della liberazione anticipata anche nel caso di intervenuto assoluzione del condannato ai sensi dell'art. 115 c.p., qualora nei suoi confronti sia stata disposta l'applicazione di una misura di sicurezza, per contrasto con gli articoli 3 e 27 comma 3 della Costituzione. Rilevanza della questione. La Procura Generale presso la Corte d'Appello di Bologna ha chiesto la revoca, ex art. 54, comma 3 legge 26 luglio 1975, n. 354, dei provvedimenti emessi dal magistrato di Sorveglianza di Bologna in data 3 settembre 2015, 19 novembre 2015, 29 agosto 2018, 7 dicembre 2018, con cui veniva concesso al F. il beneficio della liberazione anticipata per complessivi giorni 570, in relazione ai periodi detentivi 20 marzo 2010-26 luglio 2012 (presofferto) e 24 febbraio 2015 - 17 ottobre 2018. In particolare: con ordinanza emessa il 3 settembre 2015 veniva concessa una riduzione di giorni 225, in relazione ai periodi 20 marzo 2010 - 26 luglio 2012 (presofferto) e 24 febbraio 2015 - 17 aprile 2015; con ordinanza emessa il 19 novembre 2015 veniva concessa una riduzione di giorni 75, in relazione ai periodi 17 aprile 2015 - 17 ottobre 2015; con ordinanza emessa il 29 agosto 2018 veniva concessa una riduzione di giorni 225, in relazione ai periodi 17 ottobre 2015 - 17 aprile 2018; con ordinanza emessa il 7 dicembre 2018 veniva concessa una riduzione di giorni 45, in relazione al periodo 17 aprile 2018 - 17 ottobre 2018. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale emerge dal fatto che, come sopra esposto, la Procura Generale presso la Corte d'Appello di Bologna ha richiesto la revoca, tra gli altri, anche dei provvedimenti emessi dal Magistrato di sorveglianza di Bologna in data 3 settembre 2015 e 19 novembre 2015, con i quali il beneficio della liberazione anticipata veniva concesso al Fabbri in epoca antecedente alla commissione dei fatti oggetto delle successive sentenze assolutorie (le quali indicano l'epoca del commesso reato il periodo antecedente e prossimo al 18 marzo 2016). Non manifesta infondatezza della questione. Il Fabbri e' stato assolto (dapprima con sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ferrara il 22 dicembre 2017, poi confermata dalla Corte d'Appello di Bologna con sentenza 7 febbraio 2019, irr. 23 giugno 2019) dal reato di tentato omicidio in danno di Panigalli Lucia, in concorso con altro detenuto (fatto realizzato in epoca antecedente e prossima al 18 marzo 2016, mentre il Fabbri si trovava detenuto presso la casa circondariale di Ferrara, in espiazione della pena inflittagli per il reato di tentato omicidio, anche in tal caso nei confronti della stessa Panigalli). Come emerge dalle sentenze in esame, Fabbri aveva istigato altro detenuto a compiere l'omicidio della donna. Il giudice del merito (sia in primo grado, che in grado di appello) riteneva che il fatto costituisse non gia' un tentativo punibile, bensi' una istigazione non accolta (art. 115 c.p.); pertanto Fabbri veniva assolto con la formula: «il fatto non e' previsto dalla legge come reato», con contestuale applicazione, nei suoi confronti della misura di sicurezza della liberta' vigilata per anni uno. L'art. 54, comma 3, legge 26 luglio 1975, n. 354 prevede che, in tema di liberazione anticipata, «La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca». A sostegno della propria richiesta la Procura generale ha richiamato, tra l'altro, la sentenza n. 186 del 23 maggio 1995, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del suddetto comma 3. Va tuttavia osservato che con la citata pronuncia si e' tatuito che l'intervenuta condanna per delitto non colposo non e' sufficiente a determinare la revoca del beneficio gia' concesso, laddove non si accompagni a una valutazione negativa in ordine all'incompatibilita' della condotta del soggetto con il mantenimento del beneficio; il suo effetto pertanto e' stato quello di restringere l'ambito del potere di revoca, superando l'automatismo che, nel testo originario, lo ricollegava sic et simpliciter al sopravvenire di una condanna per qualunque delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione e non gia' di ampliarlo. Come detto, l'art. 54, comma 3 cit. ancora espressamente la revocabilita' del beneficio al presupposto di una intervenuta «condanna» per delitto non colposo. Riguardo alla nozione di «condanna» rilevante agli effetti di tale disposizione, si e' registrato un contrasto nella giurisprudenza della S.C., posto che, secondo un indirizzo interpretativo, si e' escluso che il presupposto in parola potesse considerarsi integro dalla pronuncia di una sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 codice di procedura penale (cfr. Cassazione Pen. n. 5959 del 28 ottobre 1999; n. 50176 del 12 novembre 2004), mentre secondo altro e piu' recente indirizzo, non essendo tale pronuncia qualificabile come sentenza «di condanna», deve giungere a opposta conclusione, in occasione dell'equiparazione legislativa della sentenza di c.d. «patteggiamento» a quella di condanna (cfr. Cass. Pen, n. 49442 del 10 ottobre 2014). Il suddetto contrasto interpretativo, sebbene ormai superato, riveste un particolare interesse anche ai presenti fini, poiche' evidenzia che, secondo c.d. «diritto vivente», la possibilita' che una pronuncia diversa da una sentenza di «condanna» in senso stretto possa costituire presupposto legittimante la revoca del beneficio, ai' sensi del disposto dell'art. 54, comma 3 cit., e' stata riconosciuta solo in conseguenza di una previsione legislativa che ne sancisce l'equiparazione a quest'ultima (art. 445, comma 1, ultima parte, c.p.p.). Nel caso in esame, come detto, l'imputato e' stato non gia' condannato, bensi' assolto dal reato ascrittogli, sicche' l'applicabilita' del disposto dell'art. 54, comma 3 O.P., pur estensivamente interpretato, appare, alla luce di quanto appena esposto, difficilmente sostenibile, cosi' come, a maggior ragione, la sua applicazione analogica, considerato peraltro il carattere eccezionale dalla fattispecie in esame (in quanto derogatrice della regola generale, che sancisce con carattere di definitivita' l'attribuzione del beneficio al condannato che dia prova di partecipazione al l'opera rieducativa). Cionondimeno, sia il giudice di primo che quello di' secondo grado, lungi dall'accertare che «il fatto non sussiste» o che l'imputato «non lo ha commesso», hanno fondato la decisione assolutoria sul disposto di cui all'art. 115 c.p. La figura del c.d. «quasi reato», ad avviso della dottrina e della giurisprudenza dominanti, e' frutto di un'opzione legislativa garantistica, tesa a riaffermare che nel nostro sistema penale la punibilita' e' subordinata alla commissione di un fatto tipico di' reato, quantomeno nella forma del delitto tentato. Posto che la nozione di tentativo (superata, con il vigente codice la precedente distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi), si' fonda sul concetto di atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare un delitto, il legislatore ha ritenuto necessario, appunto attraverso l'introduzione dell'art. 115 codice penale, individuare il limite della rilevanza penale del tentativo. Al tempo stesso, tuttavia, non puo' negarsi che quella del c.d. «quasi reato» non e' figura penalmente irrilevante. I commi 2, 3 e 4 dell'art. 115 codice penale prevedono, nei casi ivi contemplati, la possibilita', per il giudice, di' applicare una misura di sicurezza a uno o a entrambi i protagonisti della vicenda (al solo istigatore, in caso di istigazione non accolta), laddove se ne ravvisi la pericolosita' sociale (art. 202, comma 2 c.p.), evenienza appunto realizzatasi, nel caso di specie. Va a tal riguardo evidenziato che la valutazione in ordine alla pericolosita' sociale della persona, anche nelle ipotesi di c.d. «quasi reato», deve compiersi sulla base delle circostanze indicate nell'art. 133 codice penale, ossia dei medesimi parametri utilizzabili in caso di commissione di un fatto previsto dalla legge come reato e che anche la tipologia di misure applicabili e' la stessa. In secondo luogo, l'applicazione, da parte del giudice, di una misura di sicurezza personale, presuppone oltre a un giudizio di pericolosita' attuale del soggetto all'epoca della sentenza - la verifica che l'accordo o l'istigazione di cui si tratta rivestissero carattere di serieta' (in caso, ad es., di scherzo o di semplice vanteria, la pericolosita' dei soggetti coinvolti sarebbe esclusa all'origine). Cio' posto, il Tribunale ritiene che, in situazioni siffatte, la mancata partecipazione del condannato all'opera di rieducazione (art. 54 O.P.) attinga a livelli di particolare pregnanza, tali da rendere quanto meno non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale in ordine alla mancata previsione, da parte del legislatore, della possibilita', da parte del Tribunale di sorveglianza, di disporre la revoca del beneficio della liberazione anticipata in precedenza concesso e cio' in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 3 della Costituzione. Per quanto concerne il principio di' uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si rileva che tra un tentativo punibile e un accordo o a una istigazione a commettere un reato, non seguiti dalla sua realizzazione, sussiste spesso una differenza minima, in special modo laddove all'accordo o all'istigazione siano seguiti atti preparatori del delitto programmato (nel caso in esame, ad esempio, sono stati dimostrati spostamenti patrimoniali, a titolo di compenso, tra i soggetti coinvolti, nonche' l'esecuzione di sopralluoghi, seppur sommari, sul luogo di esecuzione, elementi riguardo ai quali i giudici di merito hanno diffusamente argomentato). Identica, pero', appare l'intentio criminis (non sembra superfluo sottolineare che l'art. 54, comma 3 cit., come detto, subordina la revocabilita' del beneficio all'intervenuta condanna per delitto «non colposo», con cio' mostrando di attribuire rilievo, a tal fine, ai soli comportamenti volontari) e la conseguente pericolosita' sociale dei soggetti coinvolti. Tali comuni caratteristiche inducono il collegio a dubitare della conformita' al disposto dell'art. 3 di una disciplina che in un caso consenta al Tribunale di sorveglianza di disporre la revoca del beneficio della liberazione anticipata e lo escluda invece nell'altro. Quanto al secondo dei principi richiamati, si osserva che la mancata previsione del potere di revocare il beneficio della liberazione anticipata a suo tempo concesso, in presenza delle descritte circostanze, si pone in contrasto con il principio di finalita' rieducativa della pena ai sensi dell'art. 27, comma 3 della Costituzione, la cui concreta attuazione non puo' prescindere, in generale, dalla possibilita' per la Magistratura di Sorveglianza di valutare eventuali sopravvenienze, sintomatiche, in misura significativa, della mancata adesione, del condannato, al trattamento o al progetto risocializzante avviato nei suoi confronti (di cio' costituiscono espressione, ad esempio, i poteri di sospensione e/o revoca delle misure alternative concesse) e, in particolare, di riconsiderare il riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata, a fronte di condotte, espressive al pari di un delitto tentato, di un'intenzione criminosa e della pericolosita' sociale dell'autore (nei cui confronti, infatti, il giudice di cognizione applica una misura di sicurezza), poste in essere successivamente alla concessione del beneficio stesso e che non hanno trovato concreta realizzazione unicamente a causa di fattori indipendenti dalla volonta' del soggetto.